"...subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, più piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo."

(Vittorio Alfieri, La Vita scritta da esso - 1790, 1803)

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Naturalmente nessuna analogia fra me e Vittorio Alfieri. Riporto le sue parole perché mi sarebbe piaciuto vivere in Andalusia quando ci venne lui.

giovedì 13 ottobre 2011

RIVOLUZIONE

(questo post è solo in italiano)

È stata pubblicata su Fb di Altritalia la bella lettera di una ragazza, Stella, a cui ha risposto Giulietto Chiesala bella lettera aperta di una ragazza, Stella, a cui ha risposto Giulietto Chiesa. Considerazioni molto stimolanti, difficile, per me, non essere coinvolta. E allora mi lascio coinvolgere.

Alcune considerazioni sugli argomenti sollevati da Stella, a cui ha risposto Giulietto Chiesa.

Premetto che sono anziana, che pesa inevitabilmente in quel che dico la memoria: una memoria che considero necessaria e al tempo stesso pericolosa, perché può ingabbiare nella reale o presunta e analogica ripetizione.

Rivoluzione. Non so quanti, anche tra i giovani europei, sarebbero disposti a una rivoluzione violenta. Penso pochi, per fortuna. Oggi, per mille ragioni, la violenza, almeno quella vicina, nei cosiddetti “paesi avanzati”, fa più paura di ieri.
Bisognerebbe cercare di spiegare che cosa si intende con la parola “rivoluzione”.

Nella memoria di molti di noi anziani c'è la Rivoluzione d'Ottobre, poi l'Est europeo (in verità diventato “socialista” non per vocazione rivoluzionaria propria), Cina, Cuba; ora Chaves, Morales...

I risultati, alla lunga, non sono stati certo positivi, soprattutto per quanto riguarda l'aspirazione a una sempre maggiore uguaglianza e alla libertà. In Unione Sovietica e nei paesi dell'Est europeo pare che la caduta del muro abbia portato via anche la memoria di quelle che pure erano “conquiste” (non so se chiamarle così, forse più date dall'alto che conquistate) sociali: casa e occupazione per tutti, scuola e sanità gratuite, pur se non mancavano privilegi. In questi paesi, però, oltre la repressione del dissensi, si era fatto insopportabile il dominio di una “borghesia rossa”, che in parte, nella fase post-comunista, si è comprata per due soldi i beni pubblici riprivatizzati, colludendo con mafie ecc.
Allora: lotta contro il sistema capitalistico, d'accordo. Ma chi controlla un'eventuale socializzazione dei mezzi di produzione? Nel sistema “borghese” ci sono “padroni” e “non padroni”, che sono press'a poco individuabili (meno di ieri, sicuramente). In una società futura non capitalista chi comanderà? Chi controllerà? Tutti? Come?

Personalmente penso che un superamento del capitalismo richieda un salto culturale di tutti. Se non crescerà la capacità critica di tutti, che si eserciti in una pratica del dissenso quando si dissente – nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, sugli autobus, per strada, nei partiti, nei movimenti... qualcosa che spezzi tutti i corporativismi - al massimo si otterrà che una minoranza prenda in mano il potere in forma dispotica, dicendo che lo gestisce in nome della collettività: mi pare inevitabile, non solo perché tante volte è successo nella storia del '900.

È su una visione che valorizzi l'individualità (che non è individualismo, ma sana soggettività e assunzione di compiti) insieme alla responsabilità collettiva, un impegno che si eserciti momento per momento, che può nascere un processo consapevole di decrescita, che ponga l'attenzione sul senso del limite, proprio della vita umana: e ciò non significa necessariamente liberare tutti dai carichi di lavoro insopportabili, perché c'è attualmente chi lavora troppo e chi non lavora, pur occupando posizioni molto o relativamente privilegiate. E il lavoro, in molti casi, può portare piacere e felicità a chi lo fa. Io ero insegnante: non avrei certo voluto una riduzione del mio lavoro. Era posizione privilegiata, la mia? Sì.
Per questo mi sembra di particolare attualità, oggi, L'uomo ribelle di Camus.
Non si tratta di difendere posizioni inquisitorie e reazionarie, alla Brunetta, nei confronti degli altri, ma di descrivere, e, per parlare alla maniera di Vendola, di narrare il lavoro oggi, nelle sue mille pieghe che non conosciamo.

Ancora una considerazione a proposito della rivoluzione. Mi pare si stiano facendo di nuovo strada immagini di “implosione” del capitalismo, che sono più volte ritornate nei tempi passati, con effetti nulli o rovinosi. Una soggettività consapevole, individuale e collettiva, è per me il solo vero motore di trasformazioni profonde, che affermino diritti, doveri, libertà più vaste.

O forse tutto questo che ho detto è da spazzare via, ci sono oggi nuove categorie del pensiero che io non posso capire? È un dubbio serio, subisco il fascino di un movimento assai più fresco di quanto noi, della mia generazione, siamo mai stati e mi dico che forse hanno ragione loro, su tutto: che il loro discorso sintetico e fresco vincerà sui nostri sofismi.

Nonostante tutto, proseguo con il mio ragionamento. Mi dico, a proposito di decrescita: non occorrerebbero approfondimenti su tutti gli aspetti di questa modernità? Come si sceglie, che cosa? Molti prodotti dell'industria e della ricerca privata e pubblica sono ormai indispensabili per la nostra vita: quali? Quali non costituiscono un'alienazione, ma una necessità? Come produrli, come preservarli?

Altra domanda: è giusto cercare coordinate che leghino fra loro mille lavori, che offrano occasioni di rivendicazioni collettive? O è questa una categoria politico-sindacale del passato, da accantonare? Chi sono davvero i precari, oggi, in Europa? Quanti di loro vorrebbero un lavoro fisso, in senso tradizionale? Se dovessimo fare una “piattaforma” di rivendicazioni in quest'ambito, che cosa ci metteremmo, oltre una lotta generica contro il precariato? O fare una “piattaforma” non è necessario, è una cosa superata?
E può avere senso, oggi, che le diverse professionalità facciano sentire la loro voce e offrano la loro opera, la loro consulenza volontaria e gratuita alla politica intesa nel senso più nobile (se si pensa- e io lo penso – che esista una politica nobile)? Come avveniva un tempo, in parte coerentemente con il discorso di Gramsci? Non parlo solo di operatori informatici... O si lascia sempre il lavoro da parte, per andare a far politica?

Certo, io ho vissuto la mia giovinezza quando si parlava di movimento operaio, di egemonia operaia sulla società. Molti nostri compagni delle fabbriche si facevano ammirare da noi “intellettuali di mestiere” per la loro apertura al mondo, per le loro conoscenze, per la loro capacità di ragionare. Cercavamo un incontro anche e soprattutto culturale con loro. Oggi la cultura è diventata quella cosa che, come si diceva nel '68, “meno se ne ha, più la si spalma”: una parola insopportabile, per me, come del resto la parola “arte”.
Oggi gli operai nel mio paese sono ancora tanti (mi pare, circa 7 milioni, sparpagliati per lo più in piccole fabbriche), ma vengono considerati, e fors'anche loro si considerano, solo sfruttati in lotta contro i vari Marchionne. E sono spesso costretti a salire sulle ciminiere, per farsi vedere, per far vedere la loro lotta. È caduto un altro punto di riferimento per noi vecchi, già da anni e anni.

Molti operai ed ex-operai del Nord, in questi anni, sono stati conquistati da movimenti identitari-razzisti e localisti come la Lega. Bisognerebbe, a mio parere, riprendere in mano il bellissimo libro di Paolo Rumiz, La secessione leggera, scritto un po' più dieci anni fa, per capire che cosa è stato questo movimento razzista e che cosa può continuare a essere nella coscienza – e anche nel subconscio – delle persone, anche se il partito dello sgradevolissimo Bossi andasse a farsi benedire.
La sinistra disorientata – e non parlo solo del Pd e dei suoi antecessori – è stata spesso intimidita da questo movimento, non lo ha contrastato culturalmente come avrebbe dovuto e forse potuto.

Caduto il muro di Berlino – anche se in Italia era già da prima molto viva la critica radicale ai paesi del blocco sovietico – il disorientamento è stato enorme. Più che di tradimenti, in molti casi si è trattato di stordimento. Ricordo che restituii la tessera dei DS (Democratici di Sinistra, uno dei genitori dell'attuale Pd) il giorno dopo che Chicco Testa (si era, credo, nel '93) aveva dichiarato: Compagni, la Lega è un movimento di protesta. Questo è indiscutibile. Passiamo ad altro punto.

Ma il localismo, che tante volte è il nido del razzismo, ha contaminato quasi tutti, è stata ed è tuttora, a mio parere, una risposta regressiva al disorientamento: a destra e a sinistra, in Italia e forse pure in Spagna, almeno dove vivo io.

E veniamo alla sinistra. Ce l'ho e ce l'ho avuta sempre con la sinistra, di tutte le sfumature, perché in genere me la prendo di più con quelli a cui voglio bene e con cui scelgo di vivere. Con questo premier, per esempio, non ce l'ho, è un morto che occupa il potere, fa proprio spavento: che se ne vada, chiedo solo. Che porti via con sé l'incubo che rappresenta.

Non mi trattengo in lunghe considerazioni sulla sinistra – ce ne sono molte di analisi su questo, e alcune davvero interessanti - ma solo su un punto: sul linguaggio. Basta con l'uso davvero eccessivo di metafore, basta con un uso dissennato dell'analogia al posto del discorso, basta – e mi riferisco anche alla stampa democratica – con puttane, bordelli, culi, gossip, nude, nuda, nudo, si è denudata, senza veli, schok, gela, ha gelato, etc.. Ci sono nel mio paese giornalisti di valore, che spiegano in maniera alta ciò che accade. Perché il livello non resta alto in tutto? Perché in certi articoli diventa volgare e plebeo? E le puttane, la bagasce, le prostitute... non sono esseri umani dotati di diritti? Non meritevoli di pietà, bensì dotati di diritti? Ai tempi in cui ero ragazza la legge Merlin era stata votata dai progressisti proprio per riconoscere diritti o quanto meno liberare dalla schiavitù le persone che si prostituivano. Certo, questa legge avrebbe dovuto trovare un suo compimento nella crescita della società, anche nella morale sessuale, cosa che, nel paese dove comanda il Vaticano, non è avvenuta. In Spagna molto di più.
Chi occupa ruoli nel governo della cosa pubblica, e porta danni a tutti anche con la sua incompetenza, essendoci arrivato attraverso la prostituzione di tutti i tipi, non solo sessuale, va condannato. Ma le varie veline... non dovremmo chiedere conto anche a una scuola decaduta, non solo per ragioni istituzionali, di queste illusioni scadenti e davvero assurde, destinate a rendere amara e dolorosa la vita, che molti ragazzi hanno in testa?

Non c'è nel nostro paese uno spirito vittoriano diffuso che si coniuga con la vogarità, con un superomismo banale anche nell'ambito della sessualità? Nel paese del Sud della Spagna in cui vivo, nella spiaggia pubblica vicina, ci sono tante persone che si bagnano nude accanto a quelle che portano il costume. Nessuno se ne proccupa. Nell'università di Cadice ci sono tante ragazzine, bravissime e studiosissime, che arrivano a lezione con pantaloni a vita bassa e il pancino all'aria, con calzoncini, minigonne cortissime. Nessuno ha niente da ridire. Da noi, che succederebbe?

Infine: borghesia, socialdemocrazia etc.. Beh, per me c'è differenza fra una borghesia che rispetti la Costituzione, che abbia una sensibilità istituzionale, e una che non ce l'abbia. In Italia mi pare che questa sensibilità storicamente manchi. Marcegaglia solo all'ultimo se l'è presa con il governo, quando questo, grazie alla corruzione mostruosa che abbiamo nel nostro paese e alla rete di ricatti, non poteva dare più niente neppure alle industrie. C'è stata sempre differenza fra gli Olivetti e gli Agnelli. C'è differenza abissale fra il prof. Prodi e l'imprenditore Berlusconi.

E c'è differenza abissale fra il governo Berlusconi e il governo Zapatero. Il primo ha le fondamenta nel razzismo diffuso, nella paura, in un elettorato di vecchi come me – però, diversamente da me - barricati in casa, con 10 ore al giorno di cura televisiva; il secondo in un disegno socialdemocratico che ha fatto molte cose buone e ha sbagliato in altre.
La legislazione sui diritti civili non è stata un “capriccio” del libertario e ingenuo Zapatero, come par di dedurre dalla stampa italiana, ma parte di un programma politico. La inclusione, nel post-franchismo e nella democrazia, di minoranze numerosissime: un'inclusione certo variegata, non totale, non sempre soddisfacente, che rispetta o tiene conto di certe idiosincrasíe ecc.(mi autocito: la mia piccola ricerca e gli articoli che ho pubblicato in questo blog, su gitani in Spagna e sinti e rom in Italia), non è stata frutto di un processo “naturale”, ma di una difesa politica ed etica, soprattutto da parte dei socialisti, delle istituzioni democratiche e dei diritti umani. Certo, Melilla; certo, la sottovalutazione della crisi; certo, i cedimenti (evitabili? In qual misura?) a un'Europa di destra. Certo – ciò che personalmente capisco meno – la partecipazione alla costruzione di uno “scudo spaziale”.
Da noi non ci si è neppure sognato qualcosa del genere.

Si possono elencare molte altre cose che non vanno, ma non si può dire Zapatero uguale Aznar o uguale Berlusconi. Gli ex-franchisti, le persone di destra, qui, quando sentono parlare dolorosamente dell'Italia, dicono: Qui è lo stesso. Zapatero è lo stesso di Berlusconi.
Io non sono di destra e mi arrabbio.
Se non si è capaci di stabilire differenze, non so come si potrà lottare per una vita, personale e collettiva, più giusta e aperta.
Ma forse io sono vecchia, nel ragionare così, e il mio è un dubbio reale, non una domanda di cattiva retorica.

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